Friday, March 29, 2024
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Use of the risk management techniques by Customs

A new article, co-authored with Roberto Bergami of the Victoria University in Melbourne (Australia) and published on The Journal of Customs and Trade (Seowon University, Republic of Korea), deals with the topic of “Risk assessment techniques and their use by Customs”. The article can be downloaded here.

Attualmente, i volumi sempre più consistenti di merci scambiate sui mercati internazionali, unitamente all’esigenza di ridurre la congestione presso i porti, aeroporti e confini interni e di assicurare uno svincolo rapido delle merci, così da evitare intralci nella catena logistica e ritardi nell’ottenimento delle merci da parte delle imprese (con conseguenze negative sulla gestione degli ordini, delle scorte e dei flussi monetari associati alla vendita di tali merci), rendono pressochè impossibile per le autorità doganali eseguire interventi ispettivi a carattere sistematico su tutte le merci che entrano od escono da un territorio doganale, rendendo necessario spostare parte di tali attività all’interno del territorio, od addirittura presso la sede dell’impresa. Questa situazione ha spinto le dogane di tutto il mondo ad introdurre i principi della gestione dei rischi nell’ambito della propria organizzazione, in specie per quanto riguarda la pianificazione e la conduzione dei controlli. Ciò ha permesso l’utilizzazione di criteri di maggiore selettività e proficuità nell’implementazione dei controlli, senza sacrificare l’efficacia degli stessi nell’individuazione delle situazioni di frode o di altre tipologie di infrazioni od irregolarità afferenti la circolazione delle merci.

La bontà di tali metodologie dipende tuttavia da un fattore critico essenziale, ossia dalla qualità e dalla pronta disponibilità alle dogane di informazioni e dati aggiornati relativi sia alle merci, che ai soggetti che di volta in volta sono implicati nelle operazioni di movimentazione delle stesse.

Le tecniche di gestione dei rischi vengono adottate per la prima volta negli Stati uniti negli anni ’50 del secolo scorso, da parte di alcune grandi imprese di assicurazione, istituzioni finanziarie e compagnie di investimenti, e sono utilizzate per controllare i crescenti rischi finanziari in quello che era, a quel tempo, un ambiente d’affari in rapidissima evoluzione. L’uso di tali tecniche si espande negli anni ’80 e si impone anche in dogana a seguito dell’allarme terroristico innescato dagli eventi dell’11 settembre 2001, con l’introduzione dei primi programmi per la sicurezza della catena logistica, come la Container Security Initiative (CSI) ed il Customs-Trade Partnership Against Terrorism (C-TPAT), omologo del programma comunitario AEO. La base giuridica sulla quale viene radicato l’uso di tali tecniche è l’articolo VIII, par. 1 (c) del GATT (1994), il quale evidenzia la necessità di ridurre ”l’incidenza e la complessità delle formalità di importazione e di esportazione … riducendo e semplificando i requisiti documentali legati all’import ed all’export”. Le tecniche di analisi dei rischi infatti, non rappresentano solo uno strumento volto a rendere più efficaci e mirati i controlli dell’autorità doganale, ma anche e soprattutto un meccanismo volto ad accelerare lo svincolo delle merci, obiettivo reso possile grazie alla loro combinazione con le tecniche di controlli aposteriori (realizzati cioè dopo lo svincolo delle merci). Esse rappresentano dunque lo strumento privilegiato attraverso il quale è possibile realizzare quella che è forse la sfida più ambiziosa cui un’amministrazione doganale moderna è oggi chiamata: raggiungere cioè l’equilibrio ottimale tra le esigenze di facilitazione doganale e quelle di controllo.

Questi ed altri aspetti sono trattati da un nostro recente articolo pubblicato sul “Journal of Customs and Trade”, rivista specializzata realizzata a cura della Korea Research Society for Customs, che è possibile consultare qui.

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