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Desiderio Consultants Ltd. è una think tank ed una rete di consulenti internazionali per lo sviluppo indipendenti costituita per promuovere ed influenzare politiche doganali e commerciali nei Paesi Africani, al fine di raggiungere riforme di facilitazione del commercio che favoriscano la crescita degli scambi commerciali a livello internazionale e regionale
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Facilitazione commerciale nella Comunità Est-Africana: recenti sviluppi e benefici

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Un recente rapporto della U.S. International Trade Commission analizza gli sviluppi più recenti in materia di trade facilitation nella Comunità Est Africana (EAC), e cerca di valutare i benefici derivanti dall’introduzione di tali misure nell'area interessata (Burundi, Kenya, Rwanda, Tanzania ed Uganda), sulla base degli studi disponibili e delle esperienze di altri Paesi in via di Sviluppo. Dallo studio emergono alcuni dati interessanti.

Il concetto di facilitazione dei traffici viene innanzitutto scisso in due componenti principali: da un lato, nella semplificazione delle procedure doganali che impattano sul movimento transfrontaliero delle merci (es. procedure di controllo e di trasmissione documentale), dall'altro nel miglioramento delle infrastrutture di trasporto.

Ciò che in particolare emerge dallo studio è che le imprese globali (ossia che realizzano operazioni di interscambio con l’estero), necessitano oggi di tempi sempre più brevi e certi nella consegna delle merci ad esse destinati, e questo a prescindere dal fatto che le stesse debbano essere impiegate (come beni intermedi) all’interno del processo produttivo od importate per essere collocate direttamente sul mercato.

Le esigenze che sono alla base della rapidità e certezza dell’arrivo delle merci sono due: una, fortemente accentuata della recente crisi economica, coincide con la tendenza, manifestatasi a livello internazionale, verso l’adozione su vasta scala di sistemi di produzione del tipo “lean” (ossia orientati a minimizzare gli sprechi fino ad annullarli del tutto). In questo modello di produzione rientra anche la filosofia del “just in time”, tesa ad alleggerire gli stock (ossia le scorte) di materie prime e di semilavorati necessari alla produzione, in modo da abbattere od azzerare i costi di magazzino. Per far ciò è ovvio che occorre programmare attentamente le proprie forniture, facendo in modo che l’approvvigionamento di tali beni sia continuo ed ininterrotto.

L’altra esigenza è quella di servire tempestivamente il mercato, rispondendo immediatamente alle sue sollecitazioni. Rispetto al passato infatti, la gamma dei prodotti “time-sensitive”, ossia sensibili al fattore tempo, si è oggi molto ampliata: mentre prima tali beni erano costituiti da pochi beni agricoli deperibili, oggi si aggiungono all’elenco in questione anche i prodotti dell’elettronica e quelli dell’abbigliamento, dove le richieste del mercato sono soggette a frequenti e rapidi cambi (basti pensare al “pronto moda”).

Alcuni ricercatori (Djankov et al. 2008), stimano che ogni giorno aggiuntivo di ritardo comporta una riduzione a livello di flussi commerciali pari a circa 1 punto percentuale, al punto che ridurre i tempi di arrivo delle merci di almeno un giorno equivale a ridurre la distanza di un Paese con i suoi partner commerciali di circa 70 km. Quando un operatore non ha la certezza dei tempi di arrivo delle merci importate, infatti è obbligato a tenere a magazzino quantitativi maggiori dei beni in questione, e ciò comporta in re ipsa la rinuncia a lavorare secondo l’ottica del “just in time”. Ciò di fatto si traduce in una perdita di competitività.

Altri ricercatori hanno inoltre stimato che quello che è forse il principale strumento di facilitazione commerciale, ossia la semplificazione delle procedure di import/export (misura nella quale rientra l’introduzione di sistemi di single window, delle informazioni di pre-arrivo e la riduzione dei controlli fisici sulle merci, e loro sostituzione con le verifiche aposteriori) è in grado di ridurre i costi a carico degli operatori di circa il 5.4%.

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