L’interpello non è impugnabile in sede giurisdizionale

Print

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 7/E del 3 marzo 2009, detta alcuni chiarimenti sulla natura delle risposte fornite dall’amministrazione finanziaria alle istanze di interpello presentate dai contribuenti, specificando in particolare che si tratta di atti amministrativi non provvedimentali. Tale tipologia di atto, come noto, assolve funzioni solo strumentali (accessorie o secondarie) rispetto ai provvedimenti amministrativi, dei quali non possiede i caratteri tipici, ovvero:

  • l’autoritarietà (ossia la capacità di apportare una modificazione unilaterale nella sfera giuridica dei destinatari);
  • l’esecutività (l’attitudine a produrre automaticamente ed immediatamente i propri effetti);
  • l’esecutorietà (la capacità di imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi in essi contenuti).

In quanto tali, le risposte fornite dall’amministrazione finanziaria agli interpelli non hanno natura impositiva, nè producono alcun effetto diretto e immediato nei confronti del contribuente, che di conseguenza non è vincolato da essi e può decidere pertanto di attenersi o meno al parere in questi racchiuso.

Il corollario più importante che si ricava dalla nuova circolare dell’Agenzia delle Entrate è quello che essendo prive della natura provvedimentale, le risposte fornite dalla pubblica amministrazione agli interpelli non solo impugnabili in sede giurisdizionale. Tale principio, sostenuto da tempo dalla giurisprudenza, va ritenuto operante per tutte le tipologie di interpello esistenti nell’ordinamento italiano: e cioè quelli finalizzati a ottenere un parere sulla corretta applicazione delle norme tributarie (interpello ordinario), quelli relativi alla preventiva qualificazione di operazioni potenzialmente elusive (interpello ex articolo 21, legge 413/1991), e quelli volti a conseguire la valutazione dell'Agenzia in merito alla possibilità di applicare uno specifico regime tributario o di disapplicare disposizioni previste per evitare comportamenti elusivi.

La circolare 7/E/2009 ricostruisce tutta l’evoluzione giurisprudenziale in materia, partendo dalla sentenza n. 191/2007 della Corte costituzionale, che riferendosi all'interpello ordinario, ha stabilito che la risposta "deve considerarsi un mero parere, che non integra alcun esercizio di potestà impositiva nei confronti del richiedente". Sull’argomento si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, che con una serie di pronunce (vedasi in particolare le sentenze nn. 23031/2007, 21154/2008 e 10488/2008), ha più volte ribadito che circolari e risoluzioni (atti con cui vengono formalmente adottate le risposte alle istanze di interpello formulate dai contribuenti), si limitano a manifestare la posizione dell'Agenzia su una data questione e per questo motivo vanno ritenute vincolanti per l’amministrazione, ma non per i contribuenti (vedasi nostro articolo).

Un particolare chiarimento viene dalla circolare riguardo l’istituto del cd. “interpello disapplicativo”, il quale secondo la tesi sostenuta da alcune Commissioni tributarie, sarebbe assimilabile agli atti di diniego o di revoca di agevolazioni previsti dall’art. 19, comma 1, lett. h) del d.lgs. n. 546/1992: da ciò la loro impugnabilità in sede giurisdizionale.

La circolare 7/E/2009 smentisce tale interpretazione, chiarendo che la suddetta assimilazione non è corretta, in quanto gli atti di diniego o revoca di agevolazioni hanno sostanzialmente natura impositiva, mentre l’interpello disapplicativo no. La risposta all'interpello infatti, ha il solo scopo di consentire al contribuente di conoscere in tempi certi e brevi la posizione dell'Amministrazione finanziaria sulla futura applicazione di una data norma tributaria in relazione a circostanze concrete. Anche in tale tipologia particolare di interpello quindi, l'Amministrazione finanziaria non fa altro che esprimere un proprio punto di vista, senza incidere in alcun modo sul rapporto tra contribuente e fisco. L'atto impositivo può eventualmente scaturire come conseguenza della posizione adottata dall’amministrazione con l’interpello, ma in ogni caso sorge in un momento successivo a tale atto, qualora il contribuente, non attenutosi al parere dell'Agenzia, ponga in essere un comportamento contrastante con le norme tributarie. Soltanto in questa ipotesi è dunque possibile proporre ricorso alla Commissione tributaria provinciale competente.