WEF: Barriere nella catena logistica più significative delle riduzioni tariffarie

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Le barriere funzionali all'interno della catena logistica sono assai più significative, in termini di ostacoli ai traffici e di impatto sul PIL, delle tariffe. Sono queste le conclusioni che emergono dall’ultimo rapporto del World Economic Forum (WEF), dal titolo “ Enabling Trade Valuing Growth Opportunities”. Al punto che una riduzione di tali barriere può generare una crescita del PIL globale di più di 6 volte di quella che si avrebbe se si rimuovessero tutte le tariffe a livello mondiale. Infatti, se ciascun Paese fosse in grado di realizzare dei miglioramenti significativi in solo due ambiti della catena logistica, e precisamente: 1) la gestione delle frontiere e 2) le infrastrutture dei trasporti e delle comunicazioni, con i relativi servizi, il PIL mondiale potrebbe crescere di circa 2.6 trilioni di dollari (pari al 4.7%) e le esportazioni di 1.6 trilioni di dollari (pari al 14.5%).

Si ricorda che le barriere interne alla catena logistica sono tutti quei fattori di inefficienza (di tipo regolamentare, trasportistico, informativo, ecc.), in grado di generare ritardi nei tempi di preparazione, spedizione e consegna delle merci. Fra questi fattori rientrano anche le formalità doganali o di importazione/esportazione, che spesso implicano la necessità di richiedere autorizzazioni, registrazioni o permessi da parte delle imprese (es. licenze export, licenze import, nulla osta e registrazioni presso agenzie governative varie, ecc.), senza i quali non è possibile procedere alla spedizione o ritiro delle merci.

L’impatto delle barriere nella supply chain varia da impresa ad impresa e da settore a settore, dipendendo dalle caratteristiche dei prodotti oggetto di spedizione (es. la sensibilità al fattore tempo, si pensi ai prodotti deperibili), dalla complessità della regolamentazione vigente e dal livello di articolazione della catena logistica. Le imprese in genere rispondono a tali inefficienze accumulando scorte maggiori di prodotti, rinunciando a lavorare con il “just in time”. Ad esempio, un’impresa citata nel rapporto ha dichiarato di aver scelto di adottare un indice di rotazione delle scorte di 120 giorni anziché di 30 per non rischiare di rimanere sfornita dei prodotti. Questo si traduce ovviamente in un considerevole incremento dei costi di gestione, carico e scarico di magazzino per l’impresa in questione.

Il motivo per cui una riduzione delle barriere nella logistica genera risultati di tale importanza in termini di miglioramento dei traffici, è dato dal fatto che la razionalizzazione e l’eliminazione delle inefficienze nel ciclo logistico elimina gli sprechi di tempo e di risorse, mentre l’abolizione delle tariffe implica principalmente una riallocazione di risorse (per coprire le minori entrate dovute alla riduzione dei dazi, gli Stati devono infatti ricorrere ad altri prelievi fiscali alternativi). Ridurre le barriere nella supply chain significa dunque ridurre i costi ed i prezzi per le imprese che importano materie prime o prodotti intermedi da incorporare nel loro processo produttivo, ed in ultimo per i consumatori che acquisteranno il prodotto finito.

Ovviamente, anche la riduzione delle barriere nella logistica richiede investimenti da parte delle imprese e degli Stati, mentre le riduzioni tariffarie richiedono solo modifiche di tipo legislativo o regolamentare, ma la prima tipologia di investimento produce sul lungo termine risultati ben più soddisfacenti di una semplice riduzione o rimozione daziaria.

Il rapporto del WEF avverte anche che molte delle barriere interne alla logistica sono di tipo burocratico e sono dovute a regolamentazioni farraginose e non armonizzate vigenti nei vari Paesi e territori del mondo (es. Unione europea). Un’analisi dettagliata delle stesse costituisce dunque il punto di partenza per i governi al fine di individuare le soluzioni che aumentino la competitività delle loro imprese.

Alcuni dei case studies esaminati nel rapporto del WEF evidenziano come la rimozione delle barriere all’interno della catena logistica abbia un senso però solo se prima si realizzano determinate condizioni e vengono rimosse altre barriere preliminari. Per esempio, il governo brasiliano ha recentemente realizzato un sistema di fatturazione elettronica presso vari i porti del Paese per il pagamento delle spese di movimentazione delle merci, ma non ha investito in maniera adeguata nell’infrastruttura telematica. La Agriculture Co., una impresa  globale che ogni anno importa enormi quantità di prodotti agroalimentari dal Brasile, sperimenta in media due volte a settimana ritardi anche di 5-6 ore dovuti a malfunzionamenti del server governativo che gestisce il sistema di fatturazione elettronica. L’impresa stima che l’inaffidabilità di tale sistema informatico e delle relative procedure riducono l’efficienza della sua flotta di trasporto di circa il 4%.

Simili esperienze sono testimoniate anche da altre imprese od organismi internazionali, come la IATA, per quanto riguarda in particolare l’iniziativa e-freight, basata sull’utilizzo di lettere di vettura aerea elettroniche in sostituzione di quelle cartacee. Una grossa semplificazione, afferma la IATA, se tutti gli anelli della catena logistica la adottassero, cosa purtroppo che ad oggi non avviene.