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Congelate le norme sul Made in obbligatorio

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Dopo un tormentato dibattito che per oltre un mese ha visto scontrarsi imprese, associazioni professionali e di categoria e governo italiano, ha finalmente visto la luce il decreto legge n. 135 del 25 settembre 2009, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 25 settembre 2009, che ha abrogato il contestatissimo comma 4, dell'articolo 17 della "legge sviluppo" (l. 23 luglio 2009, n. 99).

Il nuovo decreto, adottato mediante la procedura "salva-infrazioni"del governo per evitare al nostro Paese di imbattersi in una violazione delle leggi comunitarie (vedasi il nostro articolo), all'art. 16, co. 8 abroga con effetto immediato (il d.l. 135/2009 è entrato in vigore il 26 settembre 2009), le misure rafforzative della tutela del "Made in Italy" introdotte dal Parlamento italiano attraverso la modifica dell'articolo 4, co. 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria 2004) e consistenti nell’obbligo dell’indicazione di origine su tutti i prodotti recanti marchi aziendali italiani, realizzati in tutto od in parte al di fuori del territorio italiano. 

Il Governo tuttavia non rinuncia a modificare, con un'opera di restyling tuttaltro che esemplare, l'articolo 4, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, introducendo fra l'altro due nuovi commi (49-bis e 49 ter), che ancora una volta rendono difficile all'interprete l'opera di ricostruzione della logica di una normativa già di per sè confusa.

Il nuovo testo riformulato del sopracitato articolo è il seguente:

"49. L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'art. 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana, incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura «made in Italy».

49-bis - Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.

49-ter. E' sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell'illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore.».

Le disposizioni di cui ai commi 49 bis e 49 ter entreranno in vigore decorsi 45 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, fermo restando che non devono considerarsi più applicabili le disposizioni di cui alle note dell'Agenzia delle Dogane n° 110635 del 11/08/2009 e n° 111601 del 13/08/2009 con particolare riguardo all'autocertificazione da presentare per le merci fabbricate/prodotte prima del 15 agosto 2009 all'estero e recanti un marchio italiano, essendo venuta meno dal 26 settembre la norma che disponeva l'obbligo di indicazione dell'origine su tali beni.

In base alle modifiiche introdotte, l'ipotesi della "fallace indicazione di origine", viene a configurarsi, oltre nel caso in cui su un dato prodotto o merce vengono utilizzati segni, figure, od altre indicazioni idonee a trarre il consumatore in inganno, inducendolo a ritenere che esso sia di origine italiana - a prescindere dal fatto che sullo stesso sia indicata l'origine e la provenienza estera - anche nel caso in cui si l'azienda faccia un uso "fallace" o "fuorviante" del marchio aziendale, ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli (ossia secondo le modalità specificate dal d.lgs n. 146 del 2 agosto 2007, con cui è stata recepita la Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno).
Le situazioni di cui sopra sono punite ai sensi dell'art. 517 del codice penale con la reclusione fino a 2 anni e la multa fino a 20.000 euro.

Il nuovo comma 49 bis inoltre, aggiunge inoltre una ipotesi "aggravata" di fallace indicazione di origine punita con sanzione amministrativa che, a nostro avviso si cumula a quella penale, e con la confisca obbligatoria del prodotto o della merce, salvo che il titolare od il licenziatario responsabile dell'illecito non sànino le suddette irregolarità tramite l'apposizione di indicazioni corrette circa l'origine del bene, apponendole direttamente sullo stesso, sulla sua confezione, od anche sui documenti di corredo per il consumatore. Tale ipotesi aggravata si configura quando il titolare o licenziatario di un dato marchio utilizza lo stesso con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che i prodotti o merci sul quale esso è apposto sono di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, e che detti prodotti/merci:

a) non sono accompagnati da indicazioni precise ed evidenti riguardo la loro (effettiva) origine o provenienza estera, oppure;

b) non sono accompagnati da indicazioni comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, oppure;

c) manca qualsiasi attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto.

In primo luogo si osserva come la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000 prevista in relazione all'ipotesi di cui al comma 49 bis, come accennato sopra, non sostituisca, ma debba piuttosto cumularsi con la sanzione penale di cui all'art. 517 c.p. L'inciso "fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis" è stato infatti apposto (e dunque si riferisce solo) al secondo periodo del comma 49, non al primo (nel quale si estende alla falsa e fallace indicazione di origine la sanzione di cui all'art. 517 c.p.).

Il comma 49 bis pertanto, come stanno le cose, non viene a regolare una fattispecie di reato autonoma, e quindi diversa, da quella di cui al comma precedente, ma semplicemente introduce una particolare aggravante nella commissione dello stesso che si configura ogniqualvolta che la fattispecie della fallace indicazione di origine viene realizzata contrassegnando i prodotti o le merci con un marchio tendenzialmente idoneo a trarre in inganno il consumatore, e (condizione aggiuntiva), ricorre una delle 3 condizioni viste più sopra, e cioè: a) assenza di indicazioni precise ed evidenti riguardo la loro origine/provenienza estera o b) di indicazioni sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto; c) assenza di qualsiasi attestazione resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio circa le informazioni sulla effettiva origine estera del prodotto da introdurre in fase di commercializzazione dello stesso.

Sarà pertanto sufficiente accompagnare la merce con le indicazioni /informazioni di cui sopra per evitare di incorrere nel reato di fallace indicazione di origine (salvo che non sussitano le condizioni di cui al comma 49).

L'ultima delle condizioni sopra elencate inoltre (utilizzazione da parte del titolare o licenziatario del marchio del marchio con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce cui esso si riferisce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, in particolare omettendo di accompagnarlo con qualsiasi attestazione, da egli resa, circa le informazioni da rendere al consumatore in fase di commercializzazione del prodotto sulla effettiva origine estera dello stesso), sembrerebbe lasciar intendere che d'ora in avanti anche per quelle merci o prodotti fabbricati in tutto od in parte all'estero ed introdotti in Italia con un marchio che in qualche modo suggerisce un'origine italiana (e che dunque è idoneo a trarre in inganno il consumatore), sarà comunque possibile evitare di imbattersi nel reato di falsa indicazione di origine se il titolare od il licenziatario del marchio presentano un'attestazione (non si dice nè a chi nè quando, ma si deve ritenere all'ufficio doganale), che in fase di commercializzazione verranno adottati, a loro cura, accorgimenti tali da informare correttamente il consumatore circa l'esatta origine estera del prodotto. In sostanza tale disposizione consente di sanare qualsiasi irregolarità derivante da una utilizzazione impropria od irregolare del marchio, ma implica che l'amministrazione doganale verifichi (in sede di controlli eseguiti posteriormente allo svincolo delle merci), che i beni accompagnati dall'attestazione in oggetto vengano commercializzati con le integrazioni informative riferite nella norma. Gli uffici doganali dovranno cioè riscontrare la regolarità delle informazioni sulla effettiva origine estera del prodotto introdotte in fase di commercializzazione dello stesso. Il temuto irrigidimento dei controlli sulle merci importate in Italia paventato da coloro che criticavano l'art. 17 della l. 99/2009 viene dunque meno, ma viene compensato da un probabile appesantimento del lavoro delle dogane in fase di controlli posteriori onde verificare la correttezza delle suddette informazioni.

Infine, si osserva che il comma 49-ter dell'art. 4 della finanziaria 2004 dispone la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che il titolare od il licenziatario responsabile dell'illecito appongano le indicazioni previste dallo stesso comma (vedasi le lettere a - c sopra), a loro spese, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore. Si tratta pertanto di una nuova forma di regolarizzazione che consente di evitare la confisca delle merci, ma non anche l'applicabilità della sanzione penale ed amministrativa di cui ai commi 49 bis e 49 ter, essendo il reato comunque venuto a maturare.

Altra novità di rilievo introdotta dal nuovo provvedimento (vedasi il comma 4 dell'art. 16) è che chiunque fa uso di un'indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», ed altre indicazioni simili, in qualunque lingua espressa, ingenerando nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero utilizzi segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, è punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene di cui all'articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo. Ai sensi del comma 1 per bene «realizzato interamente in Italia» deve intendersi un prodotto che sia classificabile come «made in Italy», in base alla normativa europea sull’origine e per il quale le 4 fasi del design, progettazione, lavorazione e confezionamento siano state realizzate esclusivamente sul territorio italiano, fermo restando che le modalità di attuazione di tale disposizione potranno essere definite con uno o piu' decreti interministeriali.

 

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