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Dichiarazioni doganali, la responsabilità dell’esattezza delle informazioni ivi contenute rimane sempre in capo al dichiarante

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Con sentenza della Prima Sezione del 15 settembre 2011 (procedimento C 138/10, DP grup EOOD c/ Direktor na Agentsia «Mitnitsi»), la Corte di Giustizia fornisce alcune delucidazioni sui meccanismi dell’invalidazione (amministrativa) e dell’annullamento (giurisdizionale) delle dichiarazioni doganali, nonchè sulle responsabilità del dichiarante in ordine all'esattezza delle informazioni in esse fornite.

La questione presa in esame dai giudici lussemburghesi riguarda il caso di una società bulgara che aveva importato dal Brasile alcuni prodotti alimentari al fine di immetterli in libera pratica all’interno dell’Unione europea. Una volta accettata la dichiarazione in oggetto da parte dell’amministrazione doganale e disposto il controllo documentale della spedizione, era seguito il successivo svincolo delle merci, con prelievo di campioni da parte dell’ufficio doganale, inoltrati ad un laboratorio per un esame accurato volto ad accertare l’esatta classificazione doganale delle merci.

Conclusa la perizia del Laboratorio Chimico Centrale, l’amministrazione doganale contestava alla società importatrice la classificazione doganale della merce in oggetto, richiedendo a quest’ultima il versamento di dazi doganali, IVA ed interessi di mora aggiuntivi sulle somme già pagate.

L’importatore proponeva dunque ricorso dinanzi al giudice amministrativo, chiedendo l’annullamento della dichiarazione in dogana. A suo avviso infatti, essendo intervenuto su tale atto un controllo da parte dell’amministrazione doganale - che peraltro, ai sensi della normativa doganale comunitaria, non è affatto obbligatorio – culminato poi nell’accettazione dell’atto da parte dell'amministrazione stessa, tale attività delle dogane aveva in un certo senso “avallato” l’esattezza delle informazioni fornite dal dichiarante, imprimendo la natura di “atto amministrativo” alla dichiarazione in questione e determinando una corresponsabilità delle dogane circa la inesattezza dei dati in essa contenuti.

In ragione di ciò, l'importatore impugnava la dichiarazione doganale mediante ricorso davanti al giudice amministrativo. Le argomentazioni del ricorrente, rigettate dal giudice di prima istanza, che aveva dichiarato irricevibile il ricorso, venivano accolte dalla Corte Suprema Amministrativa bulgara, alla quale l’importatore aveva fatto appello, che nel confermare la natura di atto amministrativo della dichiarazione doganale - pur trattandosi di atto unilateralmente predisposto dal dichiarante - aveva rinviato la causa al giudice amministrativo di primo grado ai fini della prosecuzione del procedimento. Quest’ultimo, di conseguenza, sospendeva la causa, rivolgendo alla Corte di Giustizia UE una serie di richieste di chiarimento in merito all’esatto inquadramento della vicenda.

La decisione della Corte di Giustizia parte dall’interpretazione dell’art. 4, punto 17, del codice doganale (Reg. 2913/1992), che definisce la dichiarazione doganale “atto con il quale il dichiarante manifesta, nelle forme e modalità prescritte, la volontà di vincolare una merce ad un determinato regime doganale”. Ai sensi di tale disposizione, la dichiarazione assume la natura di atto unilaterale, e di conseguenza non costituisce una «decisione» ai sensi dell’art. 4, punto 5, del codice, impugnabile in quanto tale davanti all’autorità giudiziaria. L’art. 68 del codice stabilisce inoltre che l’autorità doganale ha facoltà (e non l’obbligo) di verificare le informazioni fornite dal dichiarante all’interno della dichiarazione stessa, mentre l’art. 71, n. 2 precisa che qualora l’autorità doganale non si avvalga di tale facoltà (e dunque rinunci ad eseguire la verifica della dichiarazione in dogana), l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale al quale le merci sono vincolate va effettuata sulla base delle indicazioni figuranti nella dichiarazione. Questo tipo di meccanismo, il quale è volto ad evitare che - per esigenze di blocco o di rallentamento dei traffici - le dichiarazioni in dogana vengano sistematicamente sottoposte a verifica, presuppone che il dichiarante fornisca all’autorità doganale informazioni esatte e complete. A tal fine, l’art. 199, n. 1, primo trattino, delle DAC (Reg. 2454/1993), precisa che la presentazione in un ufficio doganale di una dichiarazione firmata dal dichiarante o dal suo rappresentante comporta assunzione di responsabilità, conformemente alle disposizioni vigenti, per quanto riguarda l’esattezza delle indicazioni riportate nella dichiarazione.

Per quanto riguarda la tesi, sostenuta dall’importatore, secondo cui l’accettazione della dichiarazione doganale avrebbe in un certo senso “avallato” l’esattezza delle informazioni fornite dall’operatore o dal suo rappresentante, la Corte di Giustizia precisa che tale accettazione rappresenta una semplice presa d’atto di quanto dichiarato da tali soggetti, senza alcuna conferma dell’esattezza delle informazioni da essi fornite. La responsabilità circa l’esattezza di tali informazioni rimane pertanto sempre in capo al dichiarante. Ciò in base a quanto disposto dal sopracitato art. 68 del codice, secondo cui l’accettazione della dichiarazione non priva l’autorità doganale della possibilità di effettuare verifiche successive (controlli aposteriori), anche dopo lo svincolo delle merci, al fine di verificare l’esattezza delle informazioni trasmesse dagli operatori. L’obbligo del dichiarante di fornire informazioni esatte include, secondo la Corte di Giustizia UE, anche la determinazione della corretta sottovoce tariffaria al momento della classificazione doganale della merce, tanto è vero che per evitare tale errore viene prevista, in caso di dubbio, la possibilità di chiedere preventivamente all’autorità doganale un’informazione tariffaria vincolante (ITV) ai sensi dell’art. 12 del codice doganale.

L’obbligo in questione comporta come conseguenza la natura irrevocabile della dichiarazione in dogana una volta che questa sia stata accettata dal competente ufficio doganale, principio al quale sono previste delle eccezioni in casi tassativamente disciplinati dalla normativa dell’Unione in materia (vedasi in particolare l’art. 251 DAC). Se però il codice doganale non prevede la possibilità per il dichiarante di ottenere l’annullamento della dichiarazione in dogana da lui predisposta, l’art. 66, n. 1, primo comma, gli consente di chiedere all’autorità doganale di invalidare una dichiarazione già accettata da quest’ultima, a condizione che le merci non siano state già svincolate (salvo i casi di cui all’art. 251 DAC) e che il dichiarante fornisca la prova che la merce è stata dichiarata erroneamente per il regime doganale indicato in tale dichiarazione o che, in seguito a circostanze particolari, non è più giustificato il vincolo della merce al regime doganale per il quale essa è stata dichiarata.

Di conseguenza, qualora il dichiarante intenda chiedere di propria iniziativa l’invalidazione della dichiarazione in dogana, la sua domanda andrà indirizzata all’autorità doganale e non a quella giudiziaria. Per concludere, il dichiarante non può adire un organo giurisdizionale chiedendo l’annullamento di una dichiarazione in dogana da egli predisposta, qualora quest’ultima sia stata accettata dall’autorità doganale. Egli potrà tuttavia richiedere all’autorità doganale l’invalidamento di tale dichiarazione, anche dopo (limitatamente ai casi di cui all’art. 251 delle DAC), che l’autorità medesima abbia concesso lo svincolo della merce. Solo una volta emessa tale decisione (che potrà essere di accoglimento o rigetto) sarà possibile proporre un ricorso all’autorità giurisdizionale.

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