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Rapporto del Banca Mondiale analizza le performances dell’Italia in materia di commercio estero

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Con l’indagine “Doing Business in Italy 2013” la Banca Mondiale analizza l’impatto della regolamentazione nazionale sull’attività imprenditoriale in 13 città italiane (Bari, Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Potenza, Roma e Torino), al fine di indentificare sia i colli di bottiglia che le buone pratiche. Oggetto di indagine è anche il settore del commercio transfrontaliero, in particolare quello marittimo,  dove l’analisi si concentra su 7 porti principali (Cagliari, Catania, Genova, Gioia Tauro, Napoli, Taranto e Trieste), classificati in porti gateway (che movimentano volumi di carico elevati e sono a servizio delle lunghe supply chain internazionali), di transhipment (che si occupano prevalentemente di attività di trasbordo) e regionali (che servono principalmente i mercati regionali). Fra i primi, le performance migliori sono registrate da Genova, dove un container può essere sdoganato per l’esportazione in 18 giorni per un costo pari a $940, mentre l’importazione dello stesso richiede 17 giorni e costa $935. Catania è invece il più efficiente tra i porti di transshipment e regionali: qui infatti occorrono 19 giorni e $1.020 per esportare un container, mentre occorrono 16 giorni e $1.040 per importarlo. Facendo una media a livello nazionale, risulta che un operatore deve presentare 4 documenti, attendere 19 giorni e pagare $1.006 per esportare un container standard, mentre per importare deve presentare 4 documenti, attendere 17 giorni e spendere $1.131. Tempistiche e costi che comunque in media sono superiori rispetto al resto dell’Europa, dove servono 11 giorni e $1.004 per esportare ed 11 giorni e $1.072 per importare.

Fra le criticità che vengono segnalate dal punto di vista amministrativo, viene indicato lo scarso coordinamento tra gli organismi di controllo. A titolo di esempio viene citato il Ministero della Salute, che compie ispezioni doganali tramite due diverse agenzie: i Posti di Ispezione Frontaliera (PIF), responsabili dei controlli su animali o prodotti di origine animale, e gli Uffici di Sanità Marittima Area di Frontiera (USMAF), responsabili dei prodotti alimentari. Agenzie queste ultime, che pur facendo capo allo stesso Ministero, non sono collocate nell’ambito di una struttura gerarchica comune. Inoltre, esse adottano piattaforme telematiche diverse, non interoperabili con quella delle dogane, e ciò ovviamente complica la comunicazione e lo scambio di informazioni tra tali organismi, rendendo complesso anche il coordinamento delle procedure ispettive. La conseguenza è che spesso le stesse merci sono soggette a  controlli multipli, con conseguenti ritardi e aumenti dei costi a carico delle imprese.

Altra critica riguarda gli uffici doganali italiani, che assicurano orari di apertura meno ampia rispetto ad altri uffici doganali europei, dove l’operatività 24 ore su 24 è maggiormente estesa. Seguendo l’esempio di altri Paesi europei, l’Italia viene invitata a riformare il proprio settore commerciale secondo le seguenti aree di priorità:

  • Liberalizzazione del settore dei trasporti (gli operatori dei terminal portuali italiani dovrebbero in particolare essere in grado di gestire direttamente i servizi di collegamento tra le piattaforme portuali e le reti ferroviarie, in un ambiente competitivo. Ciò ridurrebbe i ritardi e snellirebbe le operazioni di movimentazione e trasporto).
  • Introduzione della procedura di presdoganamento o “preclearing” (per alleggerire il carico di lavoro dei porti e degli uffici doganali, i container andrebbero sdoganati dalla dogana prima della partenza per il porto di destinazione, così da ridurre i tempi d’attesa presso il porto di destinazione e, conseguentemente, i tempi d’importazione. Sebbene già sperimentate in alcuni porti italiani, come Genova, i servizi di preclearing andrebbero estesi negli altri porti ed utilizzati in modo più sistematico).
  • Promozione del ruolo dell’Operatore Economico Autorizzato (tale status infatti assicura un accesso prioritario e semplificato ad alcune operazioni di carattere doganale, incluso l’abbattimento della percentuale dei rischi, che si traduce in una minore incidenza delle attività ispettive per quegli  operatori che soddisfano elevati standard di sicurezza e/o affidabilità).
  • Utilizzo delle ispezioni extra-portuali (la congestione del traffico può essere ridotta anche deconcentrando le operazioni e le ispezioni sia doganali che di altro tipo dai punti di arrivo delle merci all’interno del territorio, preferibilmente presso i magazzini di fornitori e importatori o presso i centri logistici al di fuori dell’area portuale).
  • Incremento dell’autonomia finanziaria dei porti (viene incitata una maggiore autonomia finanziaria nella gestione dei porti, con le risorse distribuite ai vari porti in funzione al relativo valore economico e contributo al PIL. Come da tempo suggerito da Assoporti, si raccomanda che una quota dei ricavi generati dall’IVA e dalle accise sulle attività di import ed export venga destinata alle autorità portuali a copertura dei costi di gestione dei porti ed a finanziamento degli investimenti a lungo termine in infrastrutture portuali).
  • Attivazione dello Sportello Unico Doganale (per garantire lo snellimento delle procedure doganali e attivare lo sportello unico e l’one-stop shop, con una chiara definizione delle responsabilità delle diverse agenzie coinvolte).
  • Adattamento delle operazioni doganali alle necessità aziendali (la dogana e le altre agenzie dovrebbero essere riformate in modo tale da adottare orari di lavoro più flessibili e in linea con le necessità aziendali. Le norme in materia di mobilità del personale doganale dovrebbero parimenti essere riformate, ponendo particolare attenzione ai volumi commerciali. Le attuali norme consentono una certa proporzione tra il numero di funzionari doganali assegnati a ogni porto e il relativo volume di scambi commerciali.

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