Nuove norme a tutela (forse) del "Made in"

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Nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 31 luglio 2009 è stata pubblicata la legge 23 luglio 2009, n. 99, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonchè in materia di energia”. Tra le novità principali introdotte da tale provvedimento, v'è la riformulazione di una serie di articoli del codice penale (in specie, gli artt. 473, 474 e 517), al fine di punire più severamente i reati, rispettivamente, di contraffazione, introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi e vendita di prodotti industriali con segni mendaci, e la modifica dell'art. 4, comma 49, della legge 24 dicembre  2003, n. 350 (legge  finanziaria 2004), la cui nuova stesura è la seguente:

«49.   L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione  di  prodotti  recanti  false o fallaci indicazioni  di  provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai  sensi dell'art. 517 del codice penale. Costituisce  falsa  indicazione  la stampigliatura «made in Italy»  su  prodotti  e  merci non originari dall'Italia ai sensi  della  normativa  europea  sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la  provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso  l'uso  fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli,  ovvero l'uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine senza l'indicazione precisa, in  caratteri  evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra  indicazione sufficiente   ad   evitare   qualsiasi  errore  sulla  loro effettiva  origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla  presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al  dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione  a cura  ed  a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si  tratti  di  un  prodotto  di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della  stampigliatura «made in Italy». Le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica».

Le disposizioni aggiunte dal nuovo disegno di legge all’art. 4, co. 49 della Finanziaria 2004 intendono punire una particolare categoria di violazioni divenute piuttosto frequenti negli ultimi anni per via del valore aggiunto che un marchio italiano può imprimere a determinate merci nella cui produzione il nostro Paese ha raggiunto notevoli livelli di eccellenza (es. prodotti del tessile-abbigliamento, calzature, arredo, ecc.). Esse riguardano infatti tutti quei prodotti realizzati all’estero per lo più da aziende italiane che hanno delocalizzato - o da terzi contoterzisti che agiscono sulla base di precise istruzioni impartite da esse - i quali sono rivenduti in Italia a prezzi elevati come beni di alta gamma.

Per evitare di incorrere nella violazione introdotta dal nuovo testo di legge (che la l. 350/2003 assoggetta allo stesso trattamento sanzionatorio del reato di "vendita di prodotti industriali con segni mendaci"  di cui all'art. 517 c.p., di cui viene inasprita la pena reclusiva - che si cumula alla multa, fino a 20.000 euro - passando dagli attuali 12 mesi a 2 anni), si chiede alle imprese che importano in Italia merci o prodotti recanti un marchio di un’azienda italiana, di riportare sugli stessi un’indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore riguardo la loro effettiva origine estera.

Un dubbio nasce tuttavia riguardo il significato da attribuire al termine “marchi di aziende italiane” utilizzato dal legislatore nell’inciso di cui al nuovo testo riformulato del comma 49, art. 4 della finanziaria 2004. Sembrerebbe infatti che in base a tale dizione debba considerarsi "italiano" qualsiasi marchio depositato in Italia od all'estero da aziende italiane.

Ma in questo modo la norma finisce con il disincentivare gravemente le imprese italiane che delocalizzano all’estero, in quanto le stesse vengono forzate a specificare sul prodotto il luogo di fabbricazione/origine, nonostante la proprietà italiana del marchio (es. un capo tessile realizzato da un’azienda italiana e venduto con marchio italiano, ma fabbricato negli impianti di produzione che questa ha in Cina oppure da un terzo subfornitore secondo le indicazioni impartite dall’azienda italiana, che poi vi apporrà il proprio marchio prima di lanciarlo in commercio, dovrà recare l’espressa indicazione che il suo luogo di produzione è in Cina).

Le aziende italiane quindi, in teoria, dovrebbero avere maggiore interesse a mantenere la propria produzione in ambito nazionale, a meno che non preferiscano realizzare prodotti di bassa gamma per i quali è indifferente che sul prodotto compaia la specificazione che è stato realizzato in Italia piuttosto che (ad esempio) in Cina.

La realtà è che probabilmente la disposizione in oggetto provocherà una vera e propria discriminazione delle nostre produzioni nazionali rispetto ad altre produzioni comunitarie. Le aziende stabilite negli altri Stati membri che hanno delocalizzato e fabbricano i propri prodotti in Paesi terzi, infatti, non sono soggette attualmente ad alcun obbligo di indicazione del luogo di fabbricazione o produzione delle merci nel momento in cui le rivendono nei rispettivi territori. Qualora intendano importarle in Italia, esse continueranno a non essere soggette a tale obbligo. Quindi, l’azienda comunitaria (es. tedesca) che utilizza per vendere le proprie merci in Italia, un marchio con semplice assonanza italiana, non sarà soggetta ad alcun obbligo di specificazione del luogo di fabbricazione/produzione delle stesse, trattandosi non di marchio "di azienda italiana", ma di azienda estera. La nuova normativa quindi si disinteressa di quello che probabilmente costituisce oggi il fenomeno che affligge maggiormente il Made in Italy, ossia il cd. “Italian sounding”, e pone un onere aggiuntivo a carico delle nostre aziende.

Le nuove disposizioni della l. 99/2009 entrano in vigore il 15/8/2009. La norma non prevede alcun periodo transitorio per le merci in viaggio, che verranno a cadere nel campo di applicazione del nuovo provvedimento (salvo non intervenga un nuovo provvedimento che lo dispone), e quindi finiranno automaticamente con l’essere bloccate presso i nostri uffici doganali in attesa di sanatoria amministrativa, ove non rispettino la prescrizione dell'indicazione del Paese o luogo di effettiva fabbricazione o di produzione delle stesse, o di apposizione di una qualsiasi altra indicazione atta ad evitare errori nel consumatore circa la loro effettiva origine. 

Quanto tutto ciò concretamente giovi alle nostre produzioni nazionali, è francamente dubbio.

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• Al momento sembra che il Ministero per lo Sviluppo Economico stia lavorando su un’ipotesi interpretativa della legge in questione la quale prevede la possibilità per le imprese di produrre un’autocertificazione con la quale dichiarano che le merci od i prodotti importati sono stati consegnati al vettore prima del 15 agosto 2009, data di entrata in vigore della norma. Sulla base di tale autocertificazione esse potranno sottrarsi all’onere di indicazione di origine o di apposizione di altre indicazioni atte ad ingenerare errori riguardo la loro origine estera, di cui alle nuove disposizioni dfella l. 99/2009 (Vedasi comunicato Confindustria e nota del Ministero).

(Per le altre novità introdotte dalla legge in oggetto, vedasi il comunicato del 3 agosto del Ministero dello Sviluppo Economico)