Made in: il "pasticcio" del legislatore italiano

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Con riferimento alle disposizioni a tutela del “made in” di cui all'art. 17 della “legge sviluppo” (l. 99/2009), sembra sia stata rilevata la sussistenza di una carenza a carico dello Stato italiano, il quale non avrebbe provveduto ad ottemperare a precisi obblighi procedurali nei confronti della Commissione europea, ai sensi della Direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998, recante una procedura di informazione obbligatoria nel settore delle norme e delle regole tecniche.

La Direttiva in questione infatti, dispone che qualsiasi progetto di norma, regola tecnica o di regolamentazione nazionale adottati dagli Stati membri e che sono in grado di creare ostacoli agli scambi intracomunitari, deve essere comunicato alla Commissione unitamente ai motivi alla base della loro adozione, prima ancora della loro emanazione, affinchè questa possa valutarne la compatibilità con il diritto comunitario ed in particolare con il principio di libera circolazione delle merci.

Non si tratta certo della prima volta in cui il legislatore italiano si imbatte in tale omissione. Nel 2007, aveva suscitato scalpore la decisione della Corte di Giustizia (sentenza 8 novembre 2007, Causa C-20/05, “Schwibbert“), con la quale lo Stato italiano veniva condannato per essersi reso inadempiente al dovere di pre-notifica ai servizi della Commissione dell'obbligo introdotto dalla legge 27 marzo 1987, n. 121 di apporre su CD, DVD ed altri supporti per le opere di ingegno diversi da quelli cartacei, il bollino «SIAE» in vista della loro commercializzazione in Italia (per le opere cartacee, l'obbligo di apposizione del contrassegno Siae è in vigore dal 1942, introdotto dal r.d. 18 maggio 1942, n. 1369, regolamento per l'esecuzione della legge sul diritto di autore n. 633 del 22 aprile 1941). In tale ipotesi, affermava la Corte, l'Italia aveva introdotto una “regola tecnica” restrittiva del libero commercio dei prodotti in oggetto, che non essendo stata notificata alla Commissione, non poteva essere fatta valere nei confronti dei privati.

Ricordiamo che la “legge sviluppo” ha introdotto a partire dal 15 agosto 2008 (con le precisazioni dell'Agenzia delle Dogane, per le quali vedasi la news precedente), un obbligo di indicazione sui prodotti fabbricati all'estero e commercializzati in Italia con marchi di aziende italiane, del Paese o luogo di loro effettiva fabbricazione/produzione o, alternativamente, altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore riguardo la loro effettiva origine estera.Trattandosi di normativa che incide sulla commercializzazione dei prodotti (in specie, quelli recanti un marchio di fabbrica italiano), essa viene a configurarsi come "regola tecnica" ai sensi della sopracitata Direttiva (vedasi in proposito quanto stabilito dalla Corte di Giustizia CE con sentenza 17 settembre 1996, Commissione/Italia, causa C-289/94), venendo a ricadere pertanto nell'ambito dell'obbligo di notifica preventiva di cui alla Direttiva 98/34/CE.

Dubbi a parte riguardo l'applicabilità di tale norma anche alle produzioni a marchio italiane realizzate in altri Stati comunitari (la norma non è chiara su questo punto), è stato rilevato che il Parlamento italiano ha omesso di notificare preventivamente alla Commissione europea il relativo disegno di legge. L’inadempimento di tale obbligo comporterebbe pertanto l’inapplicabilità delle disposizioni in oggetto agli operatori privati, con conseguente dovere per i giudici di disapplicare le disposizioni in questione, rappresentando detto obbligo una vera e propria regola tecnica limitativa del commercio, non autorizzata dalle autorità comunitarie.

Indicazioni in questo senso vengono dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ed in particolare dalla sentenza 30 aprile 1996 “CIA - Security International c/ Signalson SA e Securitel SPRL”, con cui la Corte afferma che gli articoli 8 e 9 della Direttiva (il riferimento è alla Direttiva 83/189/CE, ora abrogata e sostituita dalla sopracitata Direttiva 98/34/CE, che in larga parte ne riproduce i contenuti), dettano agli Stati membri degli obblighi incondizionati e precisi. Le regole tecniche adottate da questi ultimi devono pertanto essere notificate ed essere oggetto di controllo comunitario preventivo prima ancora della loro adozione. Lo scopo della Direttiva infatti non è semplicemente quello di informare la Commissione ma, in una prospettiva più ampia, quello di eliminare o limitare qualsiasi misura che introduca ostacoli agli scambi, rendendo note agli altri Stati membri le regolamentazioni tecniche progettate da altri paesi comunitari, e dando alla Commissione e agli altri Stati membri il tempo necessario per reagire e proporre una modifica che consenta loro di ridurre le restrizioni alla libera circolazione delle merci derivanti dalla misura progettata.

Si attendono ora le ultime indicazioni dalle autorità italiane su come dovranno comportarsi gli operatori nazionali riguardo l'obbligo di cui al suddetto art. 17, l. 99/2009 (salvo che la questione non giunga prima innanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee).