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L’Italia ci riprova con il “made in”

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All’approvazione del Senato dello scorso 6 dicembre 2010 del nuovo provvedimento sull'indicazione obbligatoria dell'origine dei prodotti alimentari si è aggiunta, martedì 18 gennaio 2011, anche quella della Camera. Il disegno di legge n. 2363 prevede all’art. 4 che per poter commercializzare in Italia prodotti agroalimentari sarà obbligatorio riportare su tutti i cibi l’indicazione del luogo di origine o di provenienza.

Più precisamente, il criterio da seguire è il seguente:

  • per  i prodotti alimentari non trasformati: il luogo di origine o di provenienza è il Paese dove è avventata la produzione degli stessi,
  • per i prodotti alimentari trasformati: va indicato:
    • il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale (con un evidente richiamo all’art. 24 del Regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913), e (in aggiunta cioè a tale criterio);
    • il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola “prevalente” utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti.

E’ evidente in primo luogo la confusione che il legislatore nazionale ancora una volta sembra fare tra il concetto di origine e quello di provenienza delle merci, distinzione che si ricava dalla normativa doganale comunitaria, in primis dal Regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913. L’origine infatti è il legame geografico che unisce una merce ad un dato Paese in cui essa viene considerata prodotta o fabbricata, mentre la provenienza individua semplicemente il Paese dal quale le merci provengono prima di essere introdotte nel territorio in cui ne avviene il consumo, elemento questo facilmente individuabile dai documenti di spedizione.

Sull’ambiguo concetto di materia prima “prevalente” occorrerà invece attendere i decreti attuativi ai quali la nuova legge demanda il compito di definire nel dettaglio le modalità di applicazione delle norme del provvedimento, per singola filiera. Inoltre occorrerà stabilire in quale modo tale criterio si combina con quello precedente. Da una prima lettura sembra che non basti che una merce abbia subito l’ultima trasformazione sostanziale in un dato Paese per acquisire l'origine di tale Stato. Occorre che anche il luogo dove è avvenuta la coltivazione e (forse sarebbe stato più corretto scrivere “o”) l’allevamento delle materia prima agricola “prevalente” utilizzata nella sua preparazione o produzione sia situato nello stesso territorio.

Si tratta di un criterio nuovo, non previsto dall’attuale legislazione doganale comunitaria, il quale non sembra trovare giustificazione con quanto stabilito dal Codice Doganale Comunitario in materia di origine, nonchè con la Direttiva 2000/13/CE (relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità), la quale al Considerando n. 2 afferma, molto enfaticamente, che eventuali differenze tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di etichettatura dei prodotti alimentari “possono ostacolarne la libera circolazione e possono creare disparità nelle condizioni di concorrenza”. Il che, ovviamente, implica che l’etichettatura di origine - al fine di evitare distorsioni in grado di minare l'efficace funzionamento del mercato interno - deve rientrare nella competenza delle autorità comunitarie, non di quelle nazionali.

Terzo punto, la norma si applica a tutti i prodotti commercializzati in Italia, senza fare distinzione tra merci comunitarie e merci provenienti da Paesi terzi. La nuova legge desta dunque perplessità riguardo la sua conformità al principio della di libera circolazione delle merci, vero e proprio pilastro del mercato unico, in quanto è idonea a discriminare i prodotti alimentari realizzati negli altri Stati membri, obbligandoli ad adeguare il loro sistema di etichettatura al mercato italiano e quindi limitando potenzialmente la libera circolazione di tali prodotti all’interno del territorio italiano.

Si ricorda che ad oggi non esiste nell’UE un obbligo generale di indicare in etichetta la provenienza dei prodotti alimentari. L'indicazione in questione è richiesta da specifiche normative di settore solo per alcune categorie di prodotti, quali la carne bovina (Reg. CE n. 1760/2000), frutta e verdura fresche (Reg.  2200/1996/CEE), uova (Regolamento (CEE) n. 1907/90, come modificato dal Reg. CE n. 2052/2003, nonchè Reg. CE 2295/2003), il pesce (Regolamenti (CE)  n. 104/2000 e n. 2065/2001), l’olio extravergine di oliva (Reg. CE  n. 182/2009), il miele (Direttiva 2001/110/CE), il latte fresco (Direttiva 2000/13/CE). La legge estende quindi l'indicazione di provenienza anche agli altri prodotti agroalimentari.

A prescindere dalla considerazione secondo cui la norma in oggetto sembra rappresentare l’ennesimo tentativo da parte dell’Italia di fare pressione sugli organi comunitari per ottenere l’approvazione di un provvedimento europeo che affermi in modo generale l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti alimentari in etichetta, si dubita fortemente che il disegno di legge in oggetto possa essere approvato dalla Commissione europea (alla quale occorrerà ora inviarlo ai sensi della Direttiva 98/34/CE per le valutazioni di competenza, prima di poterlo pubblicare nella Gazzetta Ufficiale), il che ci induce a ritenere che esso difficilmente entrerà in vigore.

Clicca qui per accedere al servizio TRIS di notifica alla Commissione europea delle misure e regolamentazioni tecniche adottate dagli Stati membri.

 

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